Il corpo piegato all'indietro, il
braccio sinistro che punta al cielo come fosse una freccia e quello
destro che si tende come per scoccarla, mentre la bandiera
della Giamaica, come fosse un mantello, sventola dalle sue spalle
sudate.
E' sempre lui il re, Bolt la
freccia d'oro, che pur sulla pista bagnata dalla pioggia battente di
Mosca, si riprende il titolo mondiale dei 100 metri, che aveva perso
a Daegu, per una falsa partenza.
Ridiventa campione del mondo della
velocità pura, correndo in 9.77, lasciandosi alle spalle lo
statunitense ex dopato Justin Gatlin (9.85), seguito dall'altro
giamaicano Nesta Carter (9.95).
Ai blocchi, il più reattivo è
stato Nickel Ashmeade (poi quinto in 9.98), ma l'accelerazione
migliore è stata quella di Gatlin, tanto da proiettarlo davanti a
tutti ai 60 metri: è stato a quel punto, però, che Bolt ha tirato
fuori le sue immense doti, distendendosi da par suo nel tratto
finale.
Un mix di potenza e fluidità, con
Bolt sferzato dalla pioggia che lo colpisce, a tratti, in senso
trasversale, per lasciare spazio -in meno di dieci secondi- alla
solita esultanza, anche se meno scenica di un tempo ma, senza dubbio,
più genuina.
Come se Usain non si divertisse
quasi più a fare il “Bolt”, se non sulla striscia di pista che
lo fa volare fino al traguardo.
“E' stato importante”
-ha detto a caldo appena dopo la gara- “rimanere tranquillo ed
essere riuscito a fare ciò che volevo; io più serio? Dipende tutto
dalle vibrazioni, da ciò che sento, voglio sempre andare in pista e
divertirmi, ed ora sono felice anche se so che avrei potuto fare di
meglio, ma avevo le gambe un po' dure dopo le semifinali, non so
perché...”
Ad
ogni modo -ha
spiegato- “Ero venuto qui per vincere e non per stabilire
il nuovo record del mondo e, quindi, ho semplicemente cercato la
vittoria”.
In Giamaica,
questo era ciò che si aspettavano tutti “magari anche che
dominassi, ma l'importante è stato riuscire a riprendermi questo
titolo”.
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